giovedì 16 febbraio 2012

Default Grecia Vs CDS. L'Effetto Domino.

Dietro i nuovi impegni in arrivo per soddisfare i parametri dell'Eurogruppo si aggira lo spettro di un default ordinato che ormai sembra l'esito più probabile.

Tuttavia la Grecia è già in default - cioè inadempiente - dal 27 ottobre 2011 data in cui si giunse all’accordo tra i leader di 17 Paesi dell’Eurozona, la Grecia e l’IIF (l'associazione delle maggiori banche del mondo) che portò al taglio di circa il 50% del valore nominale sui titoli greci. Quindi si effettuò una “ristrutturazione negoziata del debito” con la quale si convinsero gli obbligazionisti privati (banche e assicurazioni) - escludendo gli istituzionali - ad accollarsi il 50% di perdite sul valore facciale del debito greco.

La questione è però controversa. Chi si è assicurato dal rischio d'insolvenza di Atene (con i credit default swap sulla Grecia) ora non può riscuotere il rimborso e di fatto si trova in mano carta straccia. E un po' di amaro in bocca perché, con un haircut del 50% è difficile sostenere che la Grecia non sia in default.

Intanto cala il gelo per i 3,7 miliardi di dollari in Cds emessi a difesa degli obbligazionisti greci.

Ma la Isda, l'autorità che decide sui derivati (formata dalle stesse società che emettono derivati) ha stabilito che, di fatto non c'è default. E questo perché l'accordo raggiunto tra banche e Ue per il taglio, avrebbe natura formalmente "volontaria". Questo escamotage escogitato ad hoc, eviterebbe il "credit event" necessario per far scattare il rimborso ai possessori di derivati.

In altre parole la Isda dice: se il default della Grecia è “volontario” gli emittenti di Cds non dovranno rimborsare gli investitori: “in base a quanto sappiamo sembra che in via preliminarare il progetto di ritrutturazione dei titoli greci sia volontario e non vincolante per tutti gli azionisti” riporta la Isda sul proprio sito “per questo motivo non sembra possibile che la ristrutturazione proposta possa far scattare i pagamenti dei Cds sottostanti”.

Per fare un po’ di chiarezza è utile ricordare che il debito pubblico greco ammonta a 350 miliardi di euro mentre il valore dei contratti Cds emessi a garanzia sul medesimo debito ammonta a “soli” 3,7 miliardi di dollari. Ora la questione è capire come la Isda si comporterà nei confronti di chi ha sottoscritto questi strumenti che (ricordiamo ancora una volta) nient’altro sono che delle “assicurazioni” contro il default di una determinata somma assicurata relativa ad un pezzo di debito governativo o corporate.

La Isda aggiunge però che qualsiasi decisione finale verrà presa solo quando la UE metterà nero su bianco l’entità e le modalità dell’haircut per tutti gli obbligazionisti greci. La notizia ha del sensazionale se si pensa che nel mondo esistono qualcosa come 600.000 miliardi di Cds emessi per assicurare i debiti di questo o quel paese o dei debiti emessi dalle singole aziende.

Un mercato immenso che in questi anni ha fatto la fortuna delle banche emittenti che ovviamente intascano i ricchi premi annui per assicurare i debiti sottoscritti dagli investitori. Non solo, i Cds sono divenuti un vero e proprio termometro di tutte le fasi della crisi dando il polso della “rischiosità” di un debito attraverso l’aumento o la diminuzione del premio da pagare anno per anno.

Ma ora che l’evento default sta per verificarsi e le banche emittenti dovrebbero rimborsare i propri clienti, le controparti di questi strumenti (chi li impacchetta e vende sul mercato) sembrano non essere più disposte a pagare, adducendo cavilli legali per sviare dall’incombenza. Se così fosse, un’ondata di proteste monterebbe tra gli adetti ai lavori che vedrebbero così cadere l’unica forma di assicurazione contro eventi di questo tipo e soprattutto perdere ogni fiducia negli strumenti derivati di ultima generazione. Su queste considerazioni, la ISDA e le grandi banche coinvolte in queste business (JP Morgan prima tra tutte), stanno riflettendo seriamente se lasciarsi sfuggire un mercato lucroso come quello dei CDS o pagare un’inezia come 3,7 miliardi di dollari...            

Insomma, si cerca un modo per scongiurare non solo il pagamento dei Cds greci ma soprattutto l'effetto domino che la Grecia innescherebbe a livello internazionale, minando il sistema fiduciario su cui si basa il mercato dei credit default swap che oggi rappresenta 600.000 miliardi di dollari, cioè 10 volte il pil mondiale.

La parola d'ordine è quindi: evitare il default!

«I governi - spiega Francesco Paglianisi gestore di Banca Zarattini - non vogliono che si ripeta lo stesso effetto domino creato col crack di Lehman Brothers nel caso della Grecia. Evidentemente hanno esercitato fortissime pressioni sull'Isda per non rispettare i contratti. E questa si è inventata il cavillo della volontarietà. Vogliono salvaguardare la tenuta del sistema, ma non hanno tenuto conto degli effetti collaterali: ora i fondi si trovano senza alcun strumento di copertura sui debiti dei periferici e quindi vendono».

Inoltre le agenzie di rating - che in materia non hanno voce in capitolo - sostengono che la provata inefficacia dei Cds su Atene mette in discussione anche la protezione anche su altri debiti sovrani. C'è insomma un problema di credibilità per il mercato dei credit default swap.


Sono tutti questi meccanismi a suscitare le vere preoccupazioni.

Ciò dovrebbe farci capire quanto la governance europea sia - lontana anni luce dai problemi reali dei cittadini greci - presa dalle schiaccianti problematiche dei mercati finanziari.

Intanto, i rubinetti, per l'erogazione del credito, rimarranno chiusi fin quando la Grecia non garantirà alla cosiddetta 'troika' (composta da Bce, Ue e Fmi) che i durissimi impegni con loro presi (inclusa la trattativa per la ristrutturazione negoziata del debito) dall'attuale governo di Papademos, saranno mantenuti anche dal prossimo governo che s'insedierà con le elezioni di aprile. Un diktat piuttosto antidemocratico, visto che i nuovi rappresentanti eletti dal popolo, dovrebbero rimanere fedeli al mandato elettorale.

Il presidente dell'Eurogruppo Juncker ha dunque spiegato che manca ancora un accordo su  «specifici meccanismi per rafforzare la sorveglianza del programma di risanamento e assicurare che il servizio del debito sia prioritario».

Senza l'approvazione dei provvedimenti, la troika non potrà avviare il nuovo piano di aiuti da 130 miliardi di euro, senza il quale Atene andrà in default sui 14,4 miliardi di obbligazioni in scadenza il 20 marzo.

Lucas Papademus, in un messaggio televisivo, ha prospettato ai greci il solito spauracchio dello scenario apocalittico nel caso di un mancato accordo con la troika.

Il piano approvato dal Parlamento aggiunge nuovi durissimi sacrifici che peseranno soprattutto sulle spalle delle fasce meno abbienti: migliaia di nuovi licenziamenti nel settore pubblico, nuovi tagli alle pensioni ed alla sanità, una clamorosa deregolamentazione del lavoro ed una riduzione addirittura del 22% del salario minimo garantito che per i giovani arriva addirittura al 32%. Il piano prevede anche la privatizzazione di molte imprese e strutture statali, in particolare nei settori dell'acqua, dell'energia e delle lotterie.

Mentre si contano i feriti (almeno 60) per gli scontri dovuti alle proteste manifestate contro il parlamento ad Atene nella sola giornata di domenica, in molti si domandano come queste misure possano davvero consentire alla Grecia di ridurre il proprio debito e uscire dalla crisi economica rilanciando il paese. Dal 2009 ad oggi, le misure di austerità che si sono susseguite nel tempo, non hanno migliorato i conti pubblici greci: il debito è infatti salito passando dal 127% del PIL, all'attuale 159%.

Intanto si allarga la consapevolezza che il nuovo credito erogato alla Grecia serva (paradosso) solo ad aggravare il suo debito. Esso viene impiegato per garantire - alle istituzioni bancarie creditrici - le scadenze più immediate dei pagamenti dei titoli greci, dilanzionando un debito sempre più grosso.

Quindi la sfida è: salvare la Grecia per salvare l'Europa, inclusa la Germania, e forse anche gli Stati Uniti. Infatti, quello che viene tutelato - con i diktat della troika - è il sistema finanziario, mentre i cittadini greci sono condannati a vivere di stenti, per il bene dell'Europa... finanziaria.

Due sono le considerazioni che saltano agli occhi:
  1. ma i governi non dovrebbero prioritariamente aiutare i loro cittadini a vivere meglio?
  2. se le misure adottate sono già insostenibili e causa aggravante della crisi stessa, allora - indipendentemente dalla sua liceità - il debito può non essere pagato: esiste un diritto al default che consenta al paese di ripartire impedendo il compimento di un massacro sociale?

Una piccola annotazione va riportata: sottolineando poi tutta l'ipocrisia di questo sistema del credito che lucra sulla pelle di intere nazioni, affossandole, e tutto ciò, senza bisogno di dichiarare guerra, anzi, sostenendo che i provvedimenti presi, sono per il bene dei cittadini.

Gli stessi paesi che hanno fortemente rimproverato alla Grecia i suoi conti - (sempre Germania e Francia) additando l'elevato debito nazionale - sono quelli che li hanno aggravati. Mentre da un lato hanno imposto alla Grecia tagli drastici su pensioni e spese sociali, dall'altro - con il ricatto degli aiuti europei - hanno incassato i soldi per la vendita di armamenti militari, che certamente non rappresentano una priorità per la Grecia.

L'economista Yanis Varoufakis ha fatto un parallelo tra le riparazioni imposte alla Germania nel 1919 e le misure chieste alla Grecia dal 2010 ad oggi.

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